LE PUBBLICAZIONI VINTE

LE PUBBLICAZIONI VINTE NELLA V EDIZIONE DEL CONCORSO


INTRODUZIONE
L’Associazione Culturale Savonese ZACEM, nel bandire la quinta edizione del Concorso Letterario Nazionale “pennacalamaio@zacem.it” nel periodo 2011-2012, per dare più voce ai poeti e agli scrittori che, pur essendo estremamente validi, non trovano spazio –spesso neppure di lettura- nelle grandi case editrici, ha predisposto la pubblicazione di un volume di poesia e uno di narrativa.
Per quanto riguarda la poesia, si sarebbe aggiudicato tale Premio il miglior autore tra tutti i partecipanti alle sezioni A (poesia a tema libero), B (poesia in vernacolo), C (haiku), D (filastrocca), E (calligramma), F (silloge).
Dopo un attento esame delle opere pervenute da tutta Italia e dall’estero, la candidata che, nonostante l’elevato numero di concorrenti alle sezioni poetiche e la pregevolezza di parecchie opere in concorso, ha ottenuto non solo il totale dei consensi ma addirittura l’entusiasmo della giuria per la qualità di “vera” poetessa, è stata Stefania Raschillà. La sua silloge “Ritorno a Itaca” ha saputo penetrare nel cuore sia dei giovani che dei meno giovani membri della giuria.
Per questo, siamo estremamente felici di pubblicare il primo di una serie di libri Edizione ZACEM: una raccolta di poesie di cui andare orgogliosi anche come editori.
L’autrice, poi, oltre alla dedica al marito, ha scelto di adornare i suoi versi con il bellissimo dipinto in copertina della figlia Chiara.
Un ulteriore abbraccio di amore che, spesso, solo chi ama tanto la poesia, sa dimostrare.
Renata Rusca Zargar
Presidente Associazione Culturale Savonese ZACEM
PREFAZIONE
“Ritorno a Itaca” di Stefania Raschillà è una raccolta di poesie che si legge come un poemetto, un inno all’amore nei cui versi l’Autrice crea un parallelo tra il proprio sentimento verso l’amato e quello mitico che unì Penelope a Ulisse.
Appartiene a coloro che si amano il desiderio di cercarsi, di attendersi con ansia, di incontrarsi, di pronunciare parole capaci di esprimere le emozioni e le sensazioni, se non anche di fissarle sulla carta perché il rileggerle rinnovi l’emozione gioiosa da cui si è stati pervasi nell’istante di grazia che dà la vicinanza con chi si ama. Quando poi il linguaggio usato per fissare questi sentimenti trova una sua forma ‘magica’, ecco che si accende la scintilla della poesia e, segnatamente, di quel genere di poesia chiamata lirica, nella quale ogni lettore può ritrovare le sue stesse emozioni. In questa raccolta poetica, l’Autrice ha compiuto un lavoro sul linguaggio, riuscendo a far sì che, attraverso l’affinamento della parola, possa talvolta trasparire l’inesprimibile, presente in ogni sentimento. Ciò si rileva esemplarmente in alcuni versi, come: “A che vale la vita/ senz’attesa né sogni?/ Scruti l’onda, uguale”. È questo secondo verso a esprimere la sovrana monotonia che regnerebbe in un mondo privo dell’attesa e dei sogni che l’amore proietta nella mente di chi ama. Allo stesso riguardo, ecco ancora questi versi altri della Raschillà, dove, assumendo il ruolo di Penelope, lei si rivolge a Ulisse appena tornato a Itaca: “Risparmiami, ti prego, le storie/ di creature mirabili o di alcove/[…]ma appena gli occhi /fisserò nei tuoi, dimmi soltanto/ per chi fu il tuo primo pensiero”. La richiesta di sapere a chi l’amato volge il primo pensiero, apre lo sguardo sullo scenario di sofferenze che l’amore infligge a chi ama qualcuno che a lungo è rimasto lontano, ma anche fa intendere come sia sufficiente, a un animo tormentato dall’assenza, sapere di essere il primo pensiero nella mente dell’amato. Tuttavia, la nostra poetessa non si contenta di descrivere il sentimento d’amore per lasciarlo rinchiuso nelle pagine di un libro ma, con la parola poetica, lo fa entrare nella vita come realtà da viversi nel quotidiano e, sebbene consapevole che, nel momento stesso in cui l’amore si materializza, possa perdere, in qualche misura, il grumo della sua essenza spirituale, ribadisce con forza la sacralità di un sentimento di cui Dio ha fatto dono all’uomo. D’altronde, foscolianamente, spesso si rammenta: “…Celeste è questa/corrispondenza d’amorosi sensi,/ celeste dote è negli umani”. Ecco, appunto, riconosciamo l’appartenenza umana di questa corrispondenza amorosa, ma sappiamo anche che essendo essa una ‘celeste dote’ necessita di un particolare affinamento della sensibilità e di un adeguato linguaggio per diventare ‘poesia’. Poiché è nella poesia che i sentimenti di chi scrive continuamente si reincarnano, per cui non appartengono soltanto a chi si dedica con costanza alla scrittura e alla lettura poetiche, non sono destinate a restare circoscritti in quel determinato spazio e tempo in cui si manifestano, ma diventano parte di tutte le persone che leggono poesia, e restano vivi e validi per tutti i tempi. Ciò accade - sempre - per i Grandi Poeti, e talvolta può accadere anche a coloro che, riuscendo a intessere il loro linguaggio di memoria, di sogno e di una particolare magia, lo salvano dal cadere nel nulla, e massimamente ciò accade quando, liberata la sofferenza dalle proprie scorie, sanno evocare echi di gioia da un evento triste. Se il Leopardi, come universalmente ritenuto, è il supremo cantore del dolore è, al contempo, il poeta della gioia, in quanto il dolore, filtrato dai suoi versi ineguagliabili e dalla magia della sua parola, si è artisticamente sublimato in una forma così perfetta da far provare al lettore un sentimento di gioia.
Detto questo, occorre aggiungere che la poesia di Stefania Raschillà, riallacciandosi al mito, trova la necessaria forza rappresentativa, nonché quella particolare incisività di scrittura cui l’accostamento di una storia mitica al proprio vissuto, dà ritmo e fascino. Dalla profondità del mito, infatti, l’Autrice apre le porte del proprio mondo interiore nel cui inconscio convivono le più svariate pulsioni che il sentimento amoroso suscita, poiché consente ai suoi versi di elaborare personalmente, sull’archetipo di una leggenda, le forti emozioni che la profondità dall’amore sa destare. Il suo linguaggio, espressivo, mantiene in ogni composizione un’armonia classica, mai frantumata o estranea ma pregnante e comunicativa, a testimonianza del patto che la poesia, da sempre, stabilisce tra la parola e il mondo. Quella parola che non deve essere fissa convenzionalità ma sommuovere tutte le corde emotive possibili, in modo che chi legge possa accoglierne i messaggi, sentirla come sua, e trarne conforto per la sua stessa vita.
Franca Maria Ferraris





INTRODUZIONE
L’Associazione Culturale Savonese ZACEM, nel bandire la quinta edizione del Concorso Letterario Nazionale “pennacalamaio@zacem.it” nel periodo 2011-2012, per dare più voce agli scrittori che, pur essendo estremamente validi, non trovano spazio –spesso neppure di lettura- nelle grandi case editrici, ha predisposto la pubblicazione di un volume di narrativa. Si sarebbe aggiudicato tale Premio il miglior autore tra tutti i partecipanti alle sezioni G (racconto o favola a tema libero), H (racconto del genere horror, giallo -poliziesco, di spionaggio, noir, thriller-, fantascienza), I (romanzo inedito, raccolta di racconti o favole inedite a tema libero).
Dopo un attento esame delle opere pervenute da tutta Italia e dall’estero, lo scrittore che ha ottenuto il totale dei consensi della giuria è stato Aldo Giordanino. Inoltre, egli ha presentato un racconto storico (Domani un ponte), genere di non facile scrittura-lettura che richiede studio e non improvvisazione, sulle orme di tanti gloriosi romanzi storici che ampia fama hanno dato al nostro paese.
Per questo, siamo molto felici di pubblicare il primo di una serie di libri Edizione ZACEM: una raccolta di racconti che include alcuni pregevoli lavori. Il percorso muove, infatti, dalla persona e dalla città dell’autore, Asti, con accenni a Gesù, al periodo romano, a quello di Napoleone (Domani un ponte), per concludersi con un episodio riguardante Asti nel 1900.
Renata Rusca Zargar
Presidente Associazione Culturale Savonese ZACEM
www.zacem.org
MOTIVAZIONE DEL PREMIO
DOMANI UN PONTE
Il dramma della ritirata dalla Russia raccontato “in diretta” da un italiano arruolato nell'esercito napoleonico, uno di quei giovani piemontesi, nerbo del “tre paletti”, il reggimento di prima linea distrutto durante la campagna di Russia nel 1812. La sua morte preannuncia la morte dell'ideale rivoluzionario, lo svelamento delle mire imperiali, mentre il povero soldato prende coscienza delle sua funzione di “carne da macello”. Bello il parallelo con il “Poema di Igor”, quasi un viatico verso l'ineluttabile e l'eterno.
Prof.ssa Carmen Parodi